Il cerchio come strumento di facilitazione nei gruppi

Chiudete gli occhi e visualizzate un gruppo di persone in cerchio. A cosa lo associate? 

Alcuni rispondono “alla terapia di gruppo” e qualche volta in aula, al momento delle presentazioni, parte la risata dopo qualche tipica battuta del tipo: “Ciao, sono XXX e da un giorno non…”. 

Poco male, quel partecipante ci sta dando delle importanti informazioni su di sé. Forse ha bisogno di scherzare per smorzare la tensione del trovarsi faccia a faccia con gli altri. In ogni caso ci sta dicendo che il setting scelto evoca in lui delle precise immagini, assieme ad emozioni e probabilmente pensieri: il cerchio di sedie nel quale si ritrova sta avendo un effetto su di lui. Qualsiasi conduttore di gruppi dovrebbe essere sensibile rispetto a questo.

Preparare lo spazio quando ci si incontra per una riunione, un colloquio o per fare formazione ha una funzione importante. Allestire lo spazio fisico in un dato modo, permette di influenzare la creazione di uno spazio mentale nei partecipanti, con conseguenze tangibili sulla qualità della formazione offerta. Mettersi in cerchio, in questo senso, ha un valore speciale. 

Anche senza dare una spiegazione ai partecipanti di qual sia il senso del ritrovarsi in cerchio, una piccola magia accade ogni volta… 

e di converso mi sono accorta che quelle volte in cui si creano inspiegabili attriti, è stato proprio quando non ho predisposto un cerchio per il gruppo. Ci sono state volte in cui sono nati nervosismi, si sono create prese di posizioni non coerenti rispetto al contenuto della discussione e altre ancora in cui improvvisamente qualcuno si è chiuso in un mutismo inspiegabile… 

quelle volte in cui il cerchio si era sformato fino a diventare un semicerchio disarmonico, e magari molto distante da me, ecco che sono emersi degli antagonismi immotivati e si è presentato un tipico meccanismo che la Gestalt applicata ai gruppi definisce “del capro espiatorio” (ne parlerò in un prossimo post). 

Il significato del cerchio per l’essere umano ha origini lontane e quando usiamo questo strumento nella formazione (di adulti e non) vediamo chiaramente come ancora oggi il legame a questa figura – che geometricamente rappresenta l’infinito poiché non ha inizio né fine, né direzione né orientamento – abbia su di noi una particolare influenza.

Il cerchio facilita la connessione perché ognuno può guardare facilmente l’altro negli occhi.

Facilita la condivisione nel dialogo. Spezza qualsiasi gerarchia e crea uno spazio fisico che nella mente di ciascuno viene percepito come:

  • chiuso quindi sicuro: “ciò che condivido in questo cerchio, appartiene e rimane in questo cerchio”.
  • a-gerarchico: “ognuno è seduto in un posto che può essere facilmente scambiabile con il mio –> siamo dei pari –> le mie opinioni contano come quelle degli altri”. 

Attenzione, ciò non significa che siamo tutti uguali nell’accezione per cui non vi è differenza di ruoli. Ciascuno ha la sua specificità e un suo unico e originale punto di vista. Il cerchio favorisce la condivisione di questo perché, anche nell’eterogeneità delle persone presenti, le opinioni assumono tutte lo stesso peso e valore.

In questo spazio circolare l’ascolto, l’osservazione e l’ordine nella comunicazione sono facilitati: proprio perché i presenti riescono facilmente a guardarsi, l’attenzione è favorita e le sovrapposizioni di parola si creano con maggiore difficoltà. Non è un ordine imposto ma un ordine che si instaura con maggiore naturalezza.

Il cerchio favorisce inoltre la creazione di un clima positivo di inclusione, fiducia e di responsabilità

Il nostro corpo parla per noi e manda continuamente segnali ai nostri interlocutori anche quando teniamo la bocca chiusa! Stare girati frontalmente verso gli altri e non dare le spalle a nessuno, contribuisce fortemente alla percezione di essere “all’interno di uno spazio che noi stessi creiamo e delimitiamo”. In aggiunta a questo senso di appartenenza e inclusione, nasce un senso di proprietà e responsabilità per “questo spazio che è nostro”. 

Si sa che i cerchi così come vengono allestiti, vengono anche “rotti” e apparentemente è la figura che più si presta a questa dinamicità. In una pratica come quella della formazione, che è strettamente legata a un preciso momento temporale, oltre che al cambiamento e quindi alla dinamicità, è interessante osservare come il cerchio diventi una forma che si crea e si scioglie facilmente al termine dell’intervento, lasciando il partecipante con un senso effettivo di fine e finitezza. 

Curiosando in rete ho scoperto che presso i popoli nomadi, la forma più diffusa di Santuario era proprio quella del “cerchio, inteso come dinamicità e animazione”. Invece presso i popoli stanziali veniva solitamente prediletta per i templi la “forma del quadrato per simboleggiare l’immutabilità e l’eternità del divino.” (fonte ). 

Il cerchio attiva la nostra mente primitiva che ricorda di quando alla sera, con la nostra tribù, ci mettevamo intorno al fuoco e lì iniziava la magia di storie e racconti che risvegliavano le nostre emozioni più intense, aprivano la nostra mente e ci facevano immaginare nuove possibilità.

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Pubblicato da beatricemonticelli

Filosofa di formazione, formatrice esperienziale, facilitatrice e counsellor. Sono appassionata di etologia e neuroscienze, amante della montagna, dello yoga, della pallavolo e delle giornate di sole. Incuriosita da tutto ciò che è arte.

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